“Io sono con te”: dietro le quinte di un'esperienza teatrale in carcere

I RETROSCENA DI UNO SPETTACOLO NELLA SEZIONE FEMMINILE DELLA CASA CIRCONDARIALE DI MONTORIO (VERONA)

È il terzo anno che guido un laboratorio teatrale in carcere, alla casa circondariale di Montorio. Mi aiuta la collega di alfabetizzazione, Paola Tacchella, insegnante nella sezione femminile. La nostra idea è di coinvolgere le detenute nella messa in scena del romanzo “Io sono con te”, di Melania Mazzucco.

Il laboratorio comincia a fine febbraio. Lunedì mattina io e la collega siamo in carcere. Inutile nasconderlo: siamo agitate e preoccupate perché ogni anno si ricmincia da capo. Aspettiamo le ragazze che, chiamate dall’assistente, ci raggiungano nell’aula di alfabetizzazione. L’attesa fa parte del processo carcerario, anzi, oserei dire, è parte integrante di ogni processo ma qui, in carcere, ha il retrogusto della tortura. Attendere che si presentino le cinque ragazze che hanno fatto domanda di partecipare al laboratorio teatrale, in questo contesto, crea quel momento di vuoto che noi insegnanti riempiamo con i dubbi esistenziali sul lavoro che ci stiamo accingendo a fare.

E se non si presentano? E se mollano subito? E se sono litigiose come l’anno precedente?

In carcere, poi, l’attesa si dilata, esige un tempo diluito, che ti obbliga a scardinare la giornata e riordinare le priorità secondo le urgenze delle detenute, le loro necessità e i loro umori. Per questo l’attesa si amplifica, ti mette alla prova come insegnante ed educatore, rovescia la tua funzione per chiederti il conto. Se sei in grado di entrare in questo tempo liquido e reggere le attese, allora sei pronto a fronteggiare le urgenze che, in carcere, sono ordinaria amministrazione.

Arriva una ragazza, ha recitato anche l’anno scorso. Si scusa ma l’impegno richiesto è troppo, ora lavora fino a pomeriggio inoltrato (cuce fascette alla macchina da cucire, un tot al pezzo), non se la sente. Ritira l’iscrizione. Peccato, era una ragazza positiva. Cominciamo bene. Arrivano altre tre detenute. Dopo aver chiesto come mai ne manca una (non si sente bene, non riesce ad alzarsi dal letto), cominciamo la prima riunione. Ci presentiamo e una ragazza ci manifesta la sua perplessità: non ha mai recitato, ha vergogna e ha paura di esser presa in giro. La tranquillizzo, le dico che c’è sempre una prima volta e che le assegneremo una piccola parte che sentirà sua.

Illustro il progetto: una pièce teatrale tratta dal libro della Mazzucco “Io sono con te”. È richiesto dal concorso del Festival a cui partecipiamo, il cui titolo è “Il libro che va in scena”. Mostro al computer un’intervista, scaricata da internet, rilasciata dalla Mazzucco e dalla protagonista della storia, Brigitte Zébé. Dopo l’intervista, parliamo un po’ degli spunti di riflessione che l’intervista ci ha offerto e accenniamo, tra l’altro, al fatto che la protagonista della storia è congolese, di colore. Le detenute presenti sono tutte europee. La collega Paola chiederà allora la disponibilità a partecipare ad una studentessa nigeriana. Ci lasciamo così, con la speranza che la prossima volta, la settimana dopo, ci sia il ruolo di protagonista assegnato.

La volta successiva si presenta la ragazza nigeriana. Ha un bel timbro di voce ed ostenta una certa sicurezza: ci racconta infatti che ha fatto parte del coro della sua chiesa. La osservo, vedo che non è tranquilla, non lega minimamente con le altre, resta con un atteggiamento distaccato, il pensiero è da un’altra parte. Le chiedo se può assumersi questo impegno teatrale, mi risponde che spera di passare quanto prima agli arresti domiciliari. Questo vuol dire che non è detto che rimanga fino allo spettacolo, previsto per la fine di aprile. La collega e io ci scambiamo uno sguardo: abbiamo l’impressione che non se ne farà niente. Sorridendo e incoraggiando lo stesso a non rinunciare a questa esperienza, io e la collega cerchiamo di mantenere il più possibile quello spirito “leggero” che raccomanda Italo Calvino: “Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore.” Dobbiamo cercare qualcuno che sostituisca la ragazza nigeriana se si vuole proseguire con questa attività.

Ho il libro della Mazzucco con me e invito le ragazze alla lettura. Ne leggiamo qualche stralcio, tra i più significativi. Lascio loro il libro. Possono passarselo nell’ora d’aria, se vogliono, dal momento che sono di sezioni diverse. La protagonista della storia, Brigitte Zébé, è un’infermiera congolese imprigionata nel suo paese perché accoglie nella sua clinica dei dissidenti feriti durante una manifestazione politica. Una donna coraggiosa che decide di non venir meno al giuramento di Ippocrate. È poi riuscita miracolosamente a fuggire e ora vive come rifugiata politica a Roma. Una storia vera molto vicina a noi, per tanti motivi: i rifugiati, i pregiudizi che i neri hanno dei bianchi e viceversa, la prigione e, non di meno, la scelta di vita.

Al terzo incontro si presenta una nuova persona: è italiana, è un’habituée della prigione, ne conosce i meccanismi e si destreggia con abilità nei giochi psicologici con le altre detenute per ottenere i suoi interessi, non sempre legali. Ha una forte personalità, ha già fatto teatro in qualche altra prigione, come ci ripete più volte. Mi colpisce la sua determinazione e ne intravvedo le potenzialità, malgrado il timore in agguato di cadere nei suoi tranelli. Mi salva il pensiero che lei sta soffrendo, che la vita non le ha risparmiato delle umiliazioni, che far teatro possa fornire un’idea di riscatto, di utilità a se stessa e alle altre. La parte della protagonista è assegnata.

Il gruppo delle cinque attrici si è consolidato: gioca a nostro favore la determinazione dell’ultima arrivata, a nostro sfavore alcuni malumori che si creano, per una questione di protagonismo. Mi metto a scrivere il testo: terrò conto delle personalità delle ragazze nell’assegnare le parti. Sviluppo la trama su diversi piani temporali per rendere la pièce avvincente, un tempo passato remoto, fatto di flash back davanti all’avvocato e allo psichiatra dove Brigitte rivive la sua storia. Il suo pensiero profondo è reso pubblico dalle narratrici che, come un coro greco, commentano le scene, usando la prima o la terza persona. Un coro partecipante alla tragedia della cattura, dello stupro, della fuga dalla prigione, dell’arrivo in Italia come clandestina, senza identità. Metto in luce il pensiero della cultura africana di fronte al male, i demoni ancestrali scatenati dalla barbarie umana ma nello stesso tempo la fede di non esser abbandonati. “Io sono con te” dal Salmo di Isaia. Un tempo passato prossimo, nella lenta ricostruzione di se stessa, della sua dignità di madre di quattro figli e di donna con una professionalità importante in Africa. Un tempo presente: l’amicizia con la scrittrice, grazie alla decisione della Mazzucco di scrivere un libro sulla sua storia, il superamento degli ostacoli socio-culturali reciproci per riconoscere i valori l’una dell’altra.

Negli incontri successivi si assegnano le parti e si evidenziano sul copione: una ragazza straniera ha difficoltà a leggere la sua breve parte. Modifichiamo il testo con parole più semplici e nello stesso tempo facciamo esercizi fonatori per l’articolazione delle parole e la corretta respirazione diaframmatica. La pronuncia chiara è fondamentale perché arrivi bene il messaggio allo spettatore.

Ora non siamo più nella piccola aula dell’alfabetizzazione, ma facciamo le prove nella stanza polivalente dove c’è molto spazio, tutto vuoto. Il vuoto che la nostra presenza deve riempire: la condizione ideale di un laboratorio teatrale. Le ore volano e il lavoro da fare è molto per arrivare preparate al giorno del concorso. La collega ha l’idea di chiedere al direttore del carcere il permesso che le attrici si incontrino in biblioteca, in autonomia, per aiutarsi ad imparare a memoria la parte. Sappiamo che provano già la parte con le compagne di cella, coinvolte così in maniera indiretta, utile per far passare il tempo, ma serve la prova di gruppo, di concertazione. La nostra attrice protagonista sprona le altre. Si trovano così la domenica pomeriggio e gli incontri danno frutti insperati: imparano, quasi a gara, la parte molto velocemente. Purtroppo, alcune rivalità latenti cominciano ad affiorare, dal momento che manca la nostra mediazione. Sfociano in malumori nati da piccole incomprensioni, per esempio sugli orari d’incontro o su impegni, a detta di alcune, cercati ad hoc per rendersi preziose.

Riusciamo talvolta a stemperare il clima con qualche “abbraccio rigeneratore” (termine molto terapeutico!) e con i momenti divertenti, veramente esilaranti, che succedono provando le scene. Bisogna dire che quando si entra nel vivo delle prove si dimenticano facilmente anche i dolori fisici: spesso qualcuna scende dalla sezione ed esordisce con “non sarei scesa perché non sto bene ma non volevo mancare alla parola data” ma poi, presa dall’impegno, dimentica ogni acciacco.

Nel frattempo, faccio conoscere le musiche scelte per sottolineare alcune scene, un blues nelle scene africane e una canzone dal sapore vagamente francese (la lingua ufficiale della Repubblica Democratica del Congo) per le parti liriche. Fissiamo i gesti, le posizioni delle attrici, le rivediamo alla luce delle esigenze di scena, di incastro tra le parti recitative. Eliminiamo i tempi morti, lavoriamo sulla puntualità delle battute, sulle pause che “parlano”, rendiamo le scene fluide, scorrevoli, naturali. Impariamo l’attenzione ad esser concentrate per non sbagliare e per non far sbagliare. Nessuna ostentazione. Il lavoro deve esser chiaro, pulito. La scenografia non esiste, solo un pannello nero sul fondo. L’ambiente lo creiamo noi con due sedie e un tavolino, con il sottofondo dei rumori della stazione, della foresta, del traffico.

Per caratterizzare i personaggi, scegliamo insieme un vestito o un oggetto simbolo da indossare sul vestito di base nero: lo psichiatra ha il camice, il capitano un berretto militare, ecc. Per Brigitte costruiamo una mise da barbona, per dare vita alla scena iniziale che presenta il suo arrivo in Italia, alla stazione Termini. Vogliamo inchiodare lo sguardo dello spettatore su scene che ha già visto nelle stazioni o che non ha voluto vedere. Durante le ultime prove una ragazza che fa la narratrice si presenta con un vestito lungo e colorato: l’idea non dispiace e proponiamo anche all’altra narratrice di farsi un vestito simile. Si organizzano con le sarte che vengono il sabato ed il risultato è soddisfacente. Le ragazze del coro hanno vestiti in cui si piacciono, sono felici. Una di loro chiede alle assistenti di andare a colloquio con il marito vestita così. Permesso non accordato.

Manca poco al debutto e ci confermano che il palcoscenico sarà la chiesa della sezione maschile trasformata per l’occorrenza in teatro. Io e la collega ne studiamo lo spazio e ci adattiamo la messa in scena. Ormai ci siamo. Dobbiamo solo sperare che tutto proceda secondo quanto previsto

È finalmente il gran giorno: ogni cosa è a posto per i permessi d’entrata per la stampa, la giuria del Festival, il fotografo, l’addetto al video e gli ospiti. La cassa audio per la musica, che mancava, è arrivata per tempo, l’impianto è montato. Non mancano neanche i fogli di sala con un bel disegno e la presentazione del lavoro. Nel "nostro" teatro l’emozione è grande. Dalla porta della sacrestia, ora camerino, le attrici spiano gli spettatori.

Ragazze, diamoci la mano e stringiamoci forte. Concentriamoci. Arrivano gli ospiti, la dirigente scolastica, il direttore del carcere. Ci siamo. Siamo di scena. Buio in sala, luci sulle ragazze: la magia ha inizio… E l'ansia del debutto, la paura di non ricordare la parte, la preoccupazione di essere ridicola, l'agitazione per il pubblico si dissolvono tra una battuta e l'altra...

La pièce teatrale “Io sono con te” ha vinto il premio per la miglior attrice al Festival del Teatro della Scuola di Valeggio (2019), dal tema "Il libro che va in scena". Il lavoro, illustrato a Torino, durante il Corso nazionale di Aggiornamento/Formazione del Cesp il 12 maggio 2019, fa parte della rassegna delle scuole ristrette “Con lo sguardo "di dentro" - Matera 2019, capitale europea della cultura per il diritto di accesso e partecipazione dei detenuti alla vita culturale della comunità.

OBIETTIVI LINGUISTICI E SOCIO-CULTURALI

I docenti, che condividono i postulati di un approccio comunicativo, sono convinti dell'utilità del teatro come attività didattica nell'apprendimento linguistico, quale perfetta simulazione della realtà. Si esaltano infatti le capacità comunicative dei discenti utilizzando in modo integrato diversi codici espressivi, veicolando significati concreti, pragmatici, fortemente in contatto con la realtà circostante. L'attività teatrale è luogo di alta valenza olistica perché include le componenti emozionali e permette un approccio alternativo, pronto a modificare e sperimentare sentieri poco battuti ed originali. Le prove teatrali infatti, pur non negando il ruolo del prodotto finale ovvero della performance, sono il luogo dove si utilizzano quelle modalità relazionali cooperative che, con loro implicazioni sociali e interculturali, fanno emergere la volontà di lavorare insieme a un progetto comune. Nello stesso tempo questo processo di co-costruzione valorizza una propria individualità, unica e insostituibile, favorendo l'autopromozione e lo sviluppo di sé.

Qui il testo teatrale di Lia Peretti

Autore: Lia Peretti

Contatto: Paroledielenapigozzi@gmail.com

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